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Lo scrittore e il priore, Luca Bianchini ed Enzo Bianchi ai Giardini

Venerdì 26 giugno alle ore 18 lo scrittore Luca Bianchini, terzo in classifica dei libri più venduti del momento, apre la serata con la presentazione del suo nuovo romanzo “Dimmi che credi al destino”; dal suo romanzo precedente “Io che amo solo te” (200.000 copie vendute) si sta girando il film in Puglia con Michele Placido, Riccardo Scamarcio e Laura Chiatti. La vicenda dalla quale Bianchini prende spunto per il suo ultimo lavoro è una storia vera di cui è protagonista Ornella, un'italiana che vive a Londra. La sua libreria è minacciata: il palazzo in cui è ubicata potrebbe essere abbattuto. Le due protagoniste del libro, Ornella e Patti, racconta Bianchini, “sono due vere libraie. Sono andato in soccorso di Ornella perché la sua libreria rischia la chiusura dal momento che butteranno giù il palazzo dove è ubicata. Ho circoscritto la storia in un quartiere che si chiama Hampstead, che è rimasto immutato, dove gli stranieri sono ben visti. Mi sono divertito e ho provato a fare qualcosa per salvare una libreria. In realtà racconto una storia d'amore per i libri e per la vita”.

Alle 21.30 è Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose a fare riflettere con la sua lezione “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Il titolo è un’esortazione che, pur trovandosi all’interno della principale preghiera cristiana, chiama in causa ciascun abitante del nostro pianeta, indipendentemente dalle sue sensibilità religiose. In tempi di Expo, e di fame diffusa in tutto il mondo a causa delle carestie e delle guerre, è opportuno riflettere su questa richiesta, incastonata fra alcune invocazioni che riguardano direttamente Dio (sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà) e altre che riguardano il nostro rapporto con gli altri e con il male (rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori; non indurci in tentazione – che sarebbe meglio tradurre “non abbandonarci quando siamo tentati”). Una richiesta – quella del pane – strana, perché sembra spostare i termini del problema: perché chiedere il pane a Dio quando è evidente che è con il nostro lavoro che ci guadagniamo gli alimenti quotidiani? Molteplici le risposte di Bianchi: chiedere il pane a Dio è innanzitutto un esercizio di umiltà, perché significa riconoscersi creature che, per quanto intelligenti e capaci (a volte) di alte operazioni culturali e morali, in fin dei conti hanno bisogno di mangiare per sopravvivere. Le due ultime istanze – pane come simbolo di vita comune, in cui ognuno dà e riceve secondo il proprio lavoro e le proprie capacità; pane come bene da condividere senza egoismi, e che non a caso il testo della preghiera definisce “nostro” – sono certamente valide anche per il non credente, perché traggono origine da una visione non religiosa, ma semplicemente etica della vita: temi presenti anche all’Expo 2015 di Milano, ed esigenze sempre urgenti in un mondo in cui il divario fra poveri e ricchi si fa sempre più profondo e devastante.


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