Le 5 poesie in dialetto modenese che dipingono una Modena d'altri tempi
Lo splendore della Chiesa dei Piazza Pomposa, giocare con figurine e biglie di vetro, il "frittellaio" Gigi: i ricordi di una Modena antica nelle poesie di cittadini e personaggi modenesi
Una Modena ottocentesca, fors’anche più antica, è descritta nelle parole, rigorosamente in dialetto, di poeti, commercianti o semplici cittadini modenesi: personaggi come il “frittellaio” Gigi, giochi di figurine e biglie, tradizioni ed edifici della Modena d’un tempo rivivono nei ricordi e tra le pagine di preziose poesie:
Cos cini e vecii d’Modna
Di Antonio Berselli (Castelnuovo Rangone)
(Cose piccole e vecchie di Modena)
Chi l’ha vista non può scordare, / la nostra Modena di sessant’anni fa. / Là in fondo a Canalchiaro / dove finivano tutte le case, / proprio vicino al seminario / c’era una scaletta / e là in basso a tutte le ore / versava acqua una fontanina. / A sinistra dopo il muro, / là in una discesa, i lavatoi / dove le donne con grande premura / erano al lavoro per i panni sporchi. / Un tunnel lungo sotto il muro / il sussurro dell’acqua d’un canale, / e tutto quel buio faceva paura / con la scarsa luce di un fanale. / Un binario a Porta Castello, / un uomo con una bandiera in mano / proprio là in mezzo al Piazzale / davanti al treno per non fare dei danni. / Con la messa del “campanino” / i dazieri aprivano i cancelli, / ortolani... e lattai col biroccio / avanti svelti, ma tutti a piedi. / Là in Piazza in un baleno, / montano banchi e ombrelloni, / banchi di pane, agli e rigatini; / tutto questo sotto al campanone.
Giggi al bolentaio
Di Emilio Colombini (Modena, 1897-1985)
(Gigi il frittellaio)
In via Castellano, di fainco a Orlandini / (quel fotografo che ha tanta rinomanza) / c’era, ai miei tempi, un posticino / dove con poco ci si poteva riempire la pancia. / Il padrone di quel forno di castagnaccio, / castagne cotte, torta di ceci e “gnocco” / era Gigi, un bel tipo di toscananaccio, / che vendeva le frittelle per un soldo (cinque centesimi). / Come erano buone! Fragranti, gustose / spalmate di olio di oliva nel loro stampo / rotondo, grosso un dito, appetitose, / se ne sarebbe mangiata una quantità enorme in un lampo. / Tutto consisteva allora nell’avere i soldi / che in tasca non avrebbero certo fatto la muffa, / quasi tutti gli amici erano come me / pieni d’appetito, ma bollettari cronici. / Però ogni tanto con un ventino (quattro soldi) / ci cavavamo la voglia di un po’ di tutto: / era una bisboccia, un vero festino, / con un bel bicchiere d’acqua... per il singhiozzo! / Mi viene da pensare ai ragazzi di oggi / che hanno tutto quello che vogliono, a volontà / eppure storcono il naso / perchè cercano sempre qualcosa di più... prelibato.
La cesa ed la Pumposa
Di Sergio Abbati (Modena, 1924-1994)
(La chiesa della Pomposa)
Tanti anni addietro eri qualcosa di raro / cara Pomposa tutta da guardare / eri tenuta talmente bene / che sembravi un piccolo dolce / la gente veniva a messa e al rosario / c’erano i fedeli a tutti gli orari / spesso si sentiva il suono delle campane / che annunciavano la morte di un cristiano / dall’ospedale di Sant’Agostino giù dal Voltone / venivano a ricevere l’ultima benedizione / vederti adesso fai tanta nostalgia / il tuo interno fa malinconia / Muratori con la testa piegata / sembra si metta a piangere / Santa Rita tutta spogliata / i voti la sua roba dov’è andata? / il 22 Maggio c’era una grande funzione / la chiesa addobbata e tanto illuminata / i lampadari erano belli e tutti accesi / sono spariti ma dove sono andati? / povera chiesa mia mi ricordo i tempi / quando eri piena di tanti credenti / che non faccia la fine di San Rocco a te vicino / che ci hanno tirato fuori un magazzino / il Comune ha messo a nuovo la fontanina / ma nessuno ti ha guardato povera chiesolina / erano in tanti tutti nel giardino / a bere e mangiare dei pasticcini.
La piaza dal paes
Di Lodovico Arginelli (Soliera)
Grande, / piena il lunedì, / deserta o quasi gli altri giorni. / Quante corse, risate e piccoli pianti / e sotto al portico di nascosto / a giocare alle figurine. / Cinque figurine a me e cinque a te / io tengo il bianco e tu il rosso / e via in cielo / trattenendo fiato e tosse. / Poi un soffio di vento, / tutta l’emozione in cuore / e cercarle dappertutto / perfino nella sala d’aspetto del medico. / Tasche piene di palline / di vetro, di pietra / che per i buchi della fodera / si perdevano per la strada. / Quando poi con la pietra / s’iniziava il gioco di scontro e spanna / e giravamo per il paese / un’intera settimana. / Cinque lire lo scontro / dieci lire la spanna / e gratta pure / nel portamonete della mamma. / D’inverno si faceva la scivolella / in piazza e intorno al castello. / Ah com’era bello. / Mi sembrava di vivere in un altro mondo / e mi svegliavo solamente / quando si rompeva il ghiaccio / e andavo a fondo. / Nelle feste importanti / la banda suonava / con in testa mio padre / con la tromba, / e la sigaretta sempre accesa. / Quando poi per la festa della Madonna / s’andava in processione, / passavamo per la piazza / ed il mio cuore era colmo d’emozione. / Drappi alle finestre / curiosi sopra i balconi, / ed io con la mia fiaccola in mano, / cantavo / per l’intera funzione. / Ieri dopo tanti anni / sono tornato nella mia piazza, / tutta asfaltata e senza una macchia. / Mi sono chinato, / e vicino ad un chiusino, / ho trovato una pallina, / una pallina di pietra, tutta sporca.
T’er bèla Mòdna
Di Geminiano Benatti (Modena, 1911-1997)
(Eri bella Modena)
Che bella Modena quando eri tanto piccola, / con tutta la tua gente chiusa dentro le mura, / solo qualche casa era scappata fuori: / tre o quattro là dal Naviglio, / due vicino ai Lavatoi, / cinque o sei un po’ qua e un po’ là. / E’ vero che a guardare di là dalle mura / c’erano solo strade piene di polvere: / erba, campi, qualche biroccio, / alcuni carri che portavano dentro della roba / e qualche diligenza ogni tanto. / D’estate poi, verso l’imbrunire, un nugolo di zanzare, / concerto non gradito, / però niente inquinamento, / parola nuova solo del giorno d’oggi. / Eri bella fatta - come si dice adesso - a misura d’uomo, quando stavamo tutti dentro i palazzi, in case o casette strapiene, / e tutti intorno a quella casa grande / che era il nostro duomo / e sotto a quello splendore di torre / - la più bella del mondo - che si chiama Ghirlandina. / Adesso che siamo quasi duecentomila, i più fuori le mura, non ci conosciamo neanche più. / Una volta invece, / quando andavamo in piazza, / era così bello vedersi, salutarsi, / domandando magari a un amico: / “ma chi è quello là che non l’ho mai visto?”. / Che bello poter dire: / “Ciao Giovanni, come sta Luigino, / Rosina, lei è sempre la più bella, / ossequi avvocato, buongiorno cavaliere; / o con un amico con cui eri proprio in confidenza: / “Ma che ti venga un accidente, / come stai?”. / Anche far la spesa / è tutta un’altra cosa. / Per non passare da vecchio bacucco, / mi tocca di dire che sono ben comodi / quei magazzini così grandi che hanno di tutto. / Ma, diciamo ben la verità, / volete mettere com’era bello, / anche se ci dovevamo fermare in più botteghe, / scambiare due chiacchiere / col macellaio, il droghiere, il fruttivendolo, / dirci anche i nostri interessi, / parlare di figli, della famiglia e del tempo! / Invece adesso, quando s’arriva, / e tutti col proprio carrello, alla cassa / e del tempo là se ne perde, e anche molto, / ti danno, pagandola, una borsa di plastica, / ci metti dentro la roba, / nessuno parla, / meno quello che ti può dire, / che c’era prima lui / che ti dà degli spintoni, che dice “pardon” / e poi ti passa davanti. / E come conclusione non posso negare / che siano belle invenzioni fax e computer / e la macchinetta per fare le operazioni, / io però, solo per tornare indietro, / con la mia matita, / sarei ancora pronto a far di conti.