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Folklore modenese | Chèrta, falupiòun, galàtt: e tu che tipo sei in dialetto modenese?

Se vi capitasse per fortuito caso di origliare nel bel mezzo di una conversazione l’espressione “cun cla facia al pèr Salvagna”, riuscireste a capire di che tipo di persona si parla? Vediamo allora una manciata di termini caratteristici (e simpatici) del parlato popolare di Modena

Di carattere spesso dispregiativo, all’interno del vasto vocabolario di proverbi e modi dire del dialetto modenese, troviamo una particolare quantità di espressioni popolari utilizzate per descrivere un determinato carattere di persona. Ad esempio, se vi capitasse per fortuito caso di origliare nel bel mezzo di una conversazione l’espressione “cun cla facia al pèr Salvagna”, riuscireste a capire di che tipo di persona si parla? Vediamo allora una manciata di termini caratteristici (e simpatici) del parlato popolare di Modena:

Salvagna

“Cun cla facia al pèr Salvagna” - l’avete mai sentita pronunciare? Letteralmente: Con quella faccia sembri Salvagna. Ma di chi si sta parlando esattamente?

Leggende e storie raccontate dai nonni e bisnonni modenesi narrano di un giovane dalla grande panza, Salvagna per l’appunto, determinato ad andare di nascosto di notte presso l’abitazione di Minghina, sua fidanzata. La luna, però, la cui luce rischiarava la strada, risultava essere un pericoloso problema per la fuga notturna di Salvagna tanto che il ragazzone decise di oscurarla: prese una lunga scala e una fascina e salì in cima per coprirla. La luna, dal canto suo, lo trattenne presso di lei e non lo lasciò più scendere sulla Terra. Per questo motivo la luna ha sembianze umane: sono quelle del Salvagna dal grande viso rubicondo. “Con quella faccia assomigli a Salvagna” sta ad indicare, dunque, una persona dal viso tondo come una luna piena.

Sicutéra

“Eser ‘na sicutéra” - “essere una sicutera” - si definisce con queste parole una persona che, per un modo o nell’altro, non si decide mai a concludere un affare o un discorso. La parola trae origine dal “Gloria” e, in particolare, dal passo dell’orazione “sicut erat in principio”. La frase latina è stata nel tempo (e causa ignoranza popolare) trasformata e interpretata diversamente: pronunciato “sicutèra in principio” significava che, ormai giunti al termine della preghiera, “sicutèra” costringeva a ritornare “in principio”. Da questa nuova interpretazione nacque dunque il detto di persona inconcludente e noiosa.

Pisèr

“Lelò al pòl pisèr a lèt e pò dir ch’l’à sudè”. Letteralmente: Quello può pisciarsi addosso a letto e poi dire che ha sudato.

Il detto popolare si riferisce ad  una persona potente, generalmente altezzosa e disprezzante del volgo, che non deve rendere conto a nessuno dei suoi comportamenti e delle sue azioni perchè nessuno avrebbe l’autorità di contraddirlo o punirlo. Deriva invece dal termine simile, “pèssa” (l’orina) il detto “Lelò an tin granch la pèssa”, ovvero “lui lì non tiene nemmeno l’orina” riferito a quel tipo di persona che non è mai capace di mantenere un segreto.

Galàtt e Capòun

“Galàtt sèinza cràsta l’è un capòun”. Letteralmente: gallo senza cresta è un cappone.

Galàtt sta dunque ad indicare il “gallo” del parlato d’oggi, l’uomo che fa la corte a tante donne, mentre il Capòun incarna il suo contrario, ovvero un uomo senza orgoglio virile, una persona che non riesce ad avere successo o a conquistare una donna.

Falupiòun

Un “Faloppione” è, secondo il parlato di Modena, una persona bugiarda, millantatrice, qualcuno che si spaccia (ingenuamente) per la persona che non è, millantando virtù od oggetti di valore che non possiede.

Il termine affonda le sue radici nella terminologia contadina: il “Falupiòun” corrispondeva, infatti, alla “Faloppa” ovvero il bozzolo allevato in una coltura di baco da seta, incominciato ma non terminato a causa della morte della larva. Di simile significato è anche il termine “lataròun” (baco da seta fasullo) utilizzato nel parlato contadino per indicare una persona fasulla, falsa.

Chèrta

“L’è una chèrta”, letteralmente “è una carta”, è un’espressione bizzarra della quale, ad ascoltarla nel parlato di oggi, si faticherebbe a trovare un significato. Di fatto, l’origine del detto è molto antica, risale ad un’epoca nella quale molto in voga erano le carte da tarocchi.

In merito alle figure allegoriche rappresentate dai tarocchi come l’imperatrice, il papa, l’eremita, il folle, o personaggi riconducenti al male come il diavolo e l’impiccato, il termine “chèrta” sta ad indicare una persona losca, equivoca. Aggettivi riconducibili, oltretutto, alle fattucchiere che solevano predire il futuro tramite la lettura di queste carte, persone spesso viste male dalla popolazione poichè circondate da mistero, sospetto e diffidenza.


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