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Cinque storie misteriose dell'Appennino Modenese

Un viaggio tra le leggende più misteriose e oscure dell'Appennino Modenese

La leggenda del ponte della Fola (Pievepelago)

Nel territorio di Pievepelago si trova un noto ponte, detto della Fola, famoso per la sua forma alquanto particolare, per non dire bizzarra, immerso in un luogo di particolare bellezza naturale, tuttavia un'antica leggenda con protagonista il diavolo riecheggia in questa valle. Si racconta che in questo luogo vivessero dei pastori, che durante il giorno portavano le pecore a pascolare a quote più elevate presso le montagne vicine, ma al calar del Sole passassero di qua per incontrarsi.

Era un modo per parlare con qualcuno, perché era dura vivere la giornata senza una compagnia umana, e così avevano preso l'abitudine di raccontarsi storie, e se alcune erano d'amore, altre erano misteriose e in certi tratti paurose. Queste storie cambiavano di giorno in giorno, e richiamarono a sé sempre più pastori che ne portavano di nuove. Tuttavia, ciò non piaceva al Diavolo, geloso di quell'amicizia così pura e volenteroso di dominare quella valle, così tentò di farli scappare.

Prima provò a spaventarli muovendo rami e cespugli nei boschi, ma non bastò, perché questi pensarono si trattasse di un animale. Successivamente il diavolo iniziò a farsi notare, ma i pastori pensarono di aver visto male, finché un pomeriggio tardi non si presentò davanti a loro e volò sopra le loro teste. I loro occhi diventarono enormi, increduli a ciò che vedevano e presi dalla paura scapparono via, e da quel giorno nessun pastore attraversò più il ponte della Fola.

L'albero dei cannibali

Da Modena sono passate molte leggende da nord e a sud perché questo territorio si situa lungo le maggiori vie che collegano la Pianura Padana alla Toscana. Prima i pellegrini e poi i mercanti e oggi i turisti, hanno attraversato queste strade di montagna. Tuttavia nel 1752 tutto cambiò perché il duca di Modena Francesco III d'Este volle creare una grande strada che valicasse gli Appennini giungesse in Toscana in meno tempo e così nacque la nota via Vandelli. La costruzione di una via in luoghi naturali da millenni rimasti quasi assenti di presenza umana sembrò agli abitanti dell'Appennino come un'incursione dentro i confini più ignoti dei boschi e delle montagne.

E infatti, ciò alimentò varie leggende, come per esempio quella che narra di un oratorio, situato tra la via e il bosco, arricchito da una lastra sono state scolpite cento croci. Quella lastra rimase così impressa agli abitanti di Barigazzo che il valico adiacente venne chiamato Passo Cento Croci. Il motivo di quella lastra non è ancora chiaro, eppure si sa che prima dell'edificazione dell'oratorio vi fosse in realtà un albergo, nel quale però avvenivano cose alquanto strane.

Una sera uno degli ospiti sparì nel nulla. Qualcuno disse che era uscito per andare a fare una passeggiata notturna e si fosse perso, ma non passò troppo tempo che un'altro sparì nel nulla. Qualcuno pensò che con la terza scomparsa non fosse più imputabile il bosco, ma il segreto dovesse trovarsi all'interno dell'albergo stesso. Un giorno un frate, diretto in Toscana, si fermò a dormire in quel luogo e giunto in camera si accorse che essa non era chiusa come desiderava, ma usciva aria da una botola nel pavimento. In cerca di uno dei proprietari si mise a girare all'interno dell'albergo e scoprì che vi erano numerose botole, così decise di aprirne una.

Dal suo interno, anzi che il maleodorante odore del tipico ambiente rimasto troppo a lungo chiuso, ecco che uscirono i profumi della cucina. "Che strano, una botola che dà in cucina?" si domandò, quando sapeva benissimo che esse erano utili per passare da una stanza all'altra o uscire da una porta secondaria dalla struttura. Così andò a cena e quando era pronto a gustarci il brodo che gli era stato preparato ritrovò nel suo cucchiao immerso nel piatto il pollice di una persona.

I suoi occhi diventarono enormi e in quel momento capì delle sparizioni e comprese a cosa servivano quelle botole. Il frate era certo che i proprietari scegliessero tra gli ospiti alcune vittime, le rapissero tramite le botole e poi le cucinassero. Terrorizzato scappò dalla struttura e andò a denunciare il fatto alle autorità locali che bruciarono la struttura e condannarono i proprietari, e su quel luogo venne costruito un oratorio. Chissà se il numero di croci coincida con quanti sono finiti nella zuppa degli ospiti.

Il prete nero di Pievepelago

I territori di Pievepelago e di Fiumalbo non finiscono mai di stupirci, sia per i panorami mozzafiato e sia per la ricchezza di leggende e storie di cui godono. Una di queste storie popolari racconta di un prete, a cui viene spesso associato l'aggettivo "nero", che era parrocco in una chiesetta nei pressi del torrente San Rocco. Era comune che pellegrini si presentassero alle porte della sua chiesetta per vedere le sacre reliquie conservate al suo interno.

Una mattina giunto nella chiesa scoprì che il portone era spalancato e le reliquie trafugate. Per lui quegli oggetti sacri erano la sua vita e così iniziò una loro ricerca disperata. Non mangiò e non bevve, il suo era un viaggio che ad ogni passo si faceva sempre più ostile e così il povero prete, esausto e angosciato si lasciò cadere nel fondo di una valle dove morì. 

Da questa storia nacque poi una leggenda, perché infatti numerosi abitanti delle zone di Pievepelago e di Fiumalbo, raccontano che al calare del Sole, nei pressi del torrente San Rocco ogni tanto si intraveda la luce di una lanterna, forse del prete nero che ancora cerca le sue reliquie.

Il Diavolo di Frassinoro

San Pellegrino in Alpe è una frazione di Frassinoro, nota sia per i suoi bellissimi paesaggi, ideali per una giornata di trekking, ma anche per la leggenda che accompagna la sua storia con radici che affondano nel lontano medioevo. Infatti, il nome della frazione deriva dall'omonimo santuario, che era stato appunto dedicato ad un santo scozzese, Pellegrino, vissuto nel VII secolo, che si diceva fosse figlio di un re e di una regina. Il povero Pellegrino tuttavia rimase orfano all'età di 15 anni e per questo motivo abbandonò lo sfarzo che aveva conosciuto fino a quel momento e si recò in Terra Santa dove diventò famoso per i suoi miracoli. Da quel momento iniziò per lui una vita in giro per l'Europa tra evangelizzazione e miracoli, conducendolo fino in Italia, di cui hanno testimonianze ad Ancona e a Roma. 

Verso la fine della sua vita, tuttavia, decise di recarsi in un luogo più isolato e trovò un luogo ideale tra il modenese e il lucchese. In questo luogo trovò un'abitazione all'interno di un grande faggio che avev un tronco cavo, e si nutrì come fosse un vegano, ovvero di radici e di frutta che trovava nella zona. La fede fu molto importante per lui, perché infatti i demoni tentarono di allontanarlo da Dio, ma lui li combatté finché non li fece scappare tutti. Sempre secondo la leggenda, sarebbe morto in quel luogo a 97 anni. 

La notte del decesso Dio avrebbe donato a due modenesi, Pietro e Aldegrada, il potere di vedere quanto accadeva a Pellegrino. Il giorno seguente decisero di recarsi in quel luogo e trovarono la salma del sant'uomo nel tronco cavo del faggio. Velocemente tornarono a Modena e spiegarono al vescovo quanto avevano visto, tuttavia la notizia giunse anche al vescovo di Lucca, che inviò nel luogo della salma una sua delegazione perchè fosse portata in città. Tuttavia, giunti nel luogo si trovò faccia a faccia con la la delegazione del vescovo di Modena. Per un po' di tempo i due arcivescovati confinanti si contesero la salma, finché non arrivarono ad un accordo, ovvero che San Pellegrino sarebbe rimasto per sempre nel luogo in cui morì e che lì sarebbe sorta una chiesa in sua memoria. 

Il Ponte del Diavolo

Il "Ponte del Diavolo" è un luogo he si trova tra Pavullo e Lama Mocogno non è però nulla di ciò che il nome indica, in quanto non è nè un ponte artificiale, nè è stato creato dal diavolo, ma allora perché ha questo nome?  Sappiamo che il Ponte è alto 3 metri dal suolo e lungo 33 metri, rappresentando un'inspiegabile esempio di sviluppo della natura, tanto che i contadini montani credevano fosse opera del Diavolo. La roccia renaria immersa in una fitta boscaglia è stata modellata a forma di arco dall'erosione e dagli agenti atmosferici, permettendo la sua percorribilità per la sua lunghezza, ma attenti a dove andate.

Perchè allora si chiama Ponte del Diavolo? Si chiama ponte perché evidentemente sembra tutto tranne che un'opera naturale in quanto l'occhio umano lo associa ad un ponte artificale. Ma soprattutto è chiamato del Diavolo per due motivi. Uno strettamente emotivo, in quanto la sua perfezione di forma è tale che sembra essere stato creato da un'entità trascendentale. Il secondo è invece legato ad una leggenda, secondo la quale  un agricolotore della zona più bassa della montagna, che doveva percorrere ogni giorni un lungo tragitto per evitare un fiume, chiese al Diavolo di costruirgli un ponte in cambio della sua anima. Satana accettò e raggiunta la vetta della montagna portò pian piano giù il monolite, ma arrivato nel luogo in cui si trova oggi vide una sabba di streghe e fu tanto preso dalla musica che non si accorse che era arrivata l'alba. Visto il Sole dovette fuggire lasciando lì il ponte.


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